Da 'repubblica.it' del 3 dicembre 2020
Vi racconto il mio Sirio, la star storta dei social
Nella giornata della disabilità parla Valentina Perniciaro, la mamma del bimbo di 7 anni, tetraplegico, che oggi ha migliaia di amici e follower. "Una mattina è finito in coma, ora sta imparando a leggere e scrivere. Su internet parla a modo suo, io lo interpreto. Ho chiesto aiuto, da sola non ce l'avrei mai fatta". “Non chiamatemi mamma coraggio, perché non lo sono, né voglio esserlo. Sono esattamente il contrario, semmai: una che ammette che da sola non ce l'avrebbe mai fatta. Il mio coraggio, se c'è, sta nel fatto che ho combattuto per essere aiutata”. Valentina Perniciaro, 38 anni, è la mamma di Sirio, il bimbo di sette anni, affetto da tetraparesi, che è diventato una star dei social, con migliaia di amici e follower su Facebook ("Sirio e i tetrabondi"), Twitter (@Tetrabondi) e Instagram. E che con i suoi video divertenti e ironici ha avviato una piccola rivoluzione nell'approccio alla disabilità. Tutto è iniziato una mattina di sette anni fa. “Sirio nasce sano, sanissimo, con quasi due mesi di anticipo. Sta talmente bene – nonostante sia prematuro – che la Neonatologia del Bambin Gesù di Roma lo dimette un mese prima del previsto. Torniamo a casa, ma dopo qualche giorno in cui sembra tutto a posto, una mattina, lo troviamo praticamente morto nel letto. Così inizia questo delirio. In ospedale lo mettono in coma farmacologico e in ipotermia, lui non si risveglia per giorni. E arriva la sentenza: rimarrà in stato vegetativo per sempre, attaccato a una macchina per tutta la vita”. Poi, però, qualcosa cambia. “A un certo punto ha aperto gli occhi. Ha dimostrato di essere presente, anche se immobile, senza possibilità di deglutire. Nel corso della neuro-riabilitazione, abbiamo iniziato a capire che con lo sguardo agganciava gli oggetti che gli venivano messi davanti e li seguiva con gli occhi. Da lì è iniziato un lungo percorso, non solo motorio, ma anche e soprattutto cognitivo, in cui, giorno dopo giorno, abbiamo strappato presenza, capacità di scegliere, rispondere. E siamo ancora in ballo. All'inizio non credevamo di arrivare così lontano, con un bambino che riesce a stare in piedi e che sta imparando a leggere e a scrivere. Che sa raccontarsi e farsi capire, anche se a modo suo. Ha fatto un salto di qualità immenso, anche se ci sono cose che ad oggi sappiamo che non potrà mai fare, come mangiare, parlare o sorridere. Era una storia che comunque andava raccontata”. Come nasce l'idea di sbarcare sui social? “Quando vivi una cosa del genere vai in rete a cercarti delle nuove piazze dove incontrare famiglie come la tua, per capire la nuova vita che affronterai. Ne ho trovate tante di piazze virtuali, ma tutte omologate su un concetto che rifiuto: quello della 'croce' che qualcuno ti ha mandato e del bimbo 'angelo' e 'speciale', la cui vita ruota intorno all'amore immenso e salvifico della mamma. È un atteggiamento che rispetto alla disabilità spesso è molto passivo, si vive aspettando il miracolo. Io non passo il tempo a pregare. Il nostro hashtag è #inculoallostatovegetativo. Ci abbiamo provato in tutti i modi e alla fine, almeno in parte, Sirio c'è riuscito”. Un atteggiamento rivoluzionario. “Siamo in rete a raccontare che esistiamo e non siamo carini – o meglio, lo siamo a modo nostro –, siamo storti, bavosetti, emettiamo strani suoni, non c'è niente al posto giusto. La nostra è una vita normale, ma con delle differenze, una vita che prima o poi dovrà crescere. Un disabile non è un eterno bimbo da accarezzare. Questi ragazzini diventeranno degli adulti e dobbiamo dare loro degli strumenti per sopravvivere in un mondo che prima o poi non li accarezzerà più, perché non saranno più angioletti come adesso. È ovvio che serve una legge per il “dopo di noi”, ma non basta. Sirio non vuole solo essere curato e assistito, vuole divertirsi, vuole correre, cadere”. Oggi è la giornata della disabilità, e il vostro esempio può dare un segnale politico importante. “È proprio quello che cerco di fare. Una questione così intima e devastante come la disabilità di un figlio vorrei trasformarla in qualcosa che abbia un valore collettivo, politico. Sì, l'amore della famiglia è bellissimo, ma se fossimo stati soli, io e il papà di Sirio – che ora si occupa di lui a tempo pieno –, non ce l'avremmo mai fatta. Non saremmo mai riusciti a farlo integrare, a mandarlo a scuola, a staccare, a respirare. Basta con la retorica, una famiglia da sola non ce la fa ad affrontare la disabilità, è un problema che si deve pendere in carico tutta la società”. Quel è il segreto del successo di Sirio? “Di solito sono sempre i normodotati a raccontare i disabili. Il fatto di farlo parlare – anche se virtualmente, perché sono io che parlo e rispondo – ha una grande potenza, le persone creano un legame con lui. Però io Sirio non me lo invento, semmai lo interpreto. E lui ha grandi capacità comunicative, è divertente, è un buffone. Sfreccia sulla sua macchina elettrica. È perfettamente consapevole dei suoi limiti e se ne frega. E la sua voce è diventata la voce di tanti altri come lui”. Qualcuno vi ha mai accusato di “mettere in mostra” vostro figlio? “Di attacchi non ne abbiamo ricevuti, a parte un paio, ma la rete è piena di matti, quindi non ci ho fatto molto caso. Anche perché è nato tutto come un gioco, con Sirio e con il mio figlio maggiore, Nilo, e loro sono molto partecipi. Quello che mi interessa è avviare un percorso di conoscenza della disabilità. Mi hanno scritto migliaia di famiglie come la mia, ma anche migliaia di persone che non sapevano nemmeno cosa significa vivere con una tracheostomia. Il giorno in cui anche la disabilità sarà vista come una delle tante differenze, con cui si può e si deve convivere, avrò raggiunto il mio obiettivo. Accusarci di voler speculare sarebbe folle”. Nei vostri video, insieme a Sirio, c'è spesso, appunto, il fratello Nilo. “Ha dieci anni, è quello che in gergo tecnico si chiama sibling, il fratello di un disabile. La sua vita, come la nostra, è stata sconvolta dall'arrivo di Sirio. Nilo è la nostra forza, è il grimaldello che ci ha aperto le porte del mondo. È iniziata con lui l'idea di mettersi in rete e raccontarsi. Ed è grazie a lui se abbiamo iniziato a uscire di casa con Sirio. Molti genitori che hanno un figlio con una grave disabilità non si infilerebbero mai in un parco giochi, a farsi guardare senza sapere cosa rispondere, a sentirsi genitori a metà. Lui ci ha insegnato tantissimo: ascoltare la naturalezza con cui, a quattro anni, spiegava una tracheostomia o un arresto cardiaco ai compagni. Cose che anche tu, adulto, avresti difficoltà a dire. A quel punto pensi: 'Se ce la fa lui, ce la posso fare anche io'. Ora si trascina orgoglioso suo fratello per mano, e se ne frega degli altri. È sempre lui che mi ha ispirato per il nome da dare al nostro blog e ai nostri profili social. Nella mia vita precedente ho sempre viaggiato tantissimo, per anni ho vissuto in Siria, anche per questo Sirio si chiama così. A Nilo dicevo sempre che avremmo girato il mondo con un food truck, visto che cucino bene. Poi è nato Sirio e la nostra prospettiva è cambiata. Da vagabondi siamo diventati Tetrabondi. È rimasta l'idea del vagabondaggio. Solo un po' più storto”.